giovedì 15 marzo 2012

El Teide

Mi sto godendo un tramonto sul mare dalla terrazza di casa mia.
Quanto durerà tutto questo ?
Domanda oziosa. Sono qui, ora, a godermelo, è tutto ciò che mi serve sapere.

La settimana scorsa sono stato al Teide.
Il mio piano era di attraversare curioso le terre deserte del centro di Tenerife, e finire il mio giro nella capitale vecchia, la Laguna, dall'altra parte dell'isola. Ma io credo che un buon viaggiatore non faccia programmi precisi, abbozza giusto un canovaccio, uno schizzo sulla tela, e lascia lo spazio all'avventura di entrare nella sua vita e fare il resto.

Sulla strada ripida per Vilaflor, il comune più alto delle Canarie, a 1500 metri, Jonay camminava sotto il sole con il suo zainone in spalla per andare a messa a l'una. in realtà cammina da 5 anni per le strade di tutta Europa, cercando un lavoro ma più che altro un senso, con i fantasmi della sua famiglia più pesanti dello zaino che contiene tutto quello che ha.
Lo ascolto parlare spagnolo con il suo accento canario privo di s finali e dopo il caffè gli lascio il mio indirizzo, se dovesse mai passare da Adeje.

La strada sale ancora, il Pandolo si districa egregiamente sulle pendici chiazzate del verde dei pini. I mirador sono tutti miei, il paesaggio è dappertutto notevole qui ma immortalarlo con una foto che ne renda merito non è semplice. Improvvisamente, dopo l'ennesima curva, el Teide.



C'è una pausa, la mente si affanna a trovare un'associazione per quello che vede.
El Teide occupa lo spazio, il cielo, e la punta, ancora più ripida del resto, è bianca dello zolfo delle esalazioni vulcaniche. Che luogo è questo ?
Non c'è più segno di vita, i pini hanno lasciato il posto a rocce di tutte le forme e i colori. I turisti sembrano fuori posto in questo paesaggio lunare, l'unica strada si snoda timida tra le rocce, quasi a chiedere permesso.
El Teide chiama, l'energia, la potenza che emana sono palpabili, ogni sosta che rallenta l'avvicinamento diventa una sofferenza.
Il cielo è blu, senza nuvole, ma siamo oltre i 2000 e il vento soffia freddo e rude, senza rispetto.
Devo salire.
E' tardi, non ho l'attrezzatura da montagna, mi mancano i guanti e un cappello, e mi chiedo che vento ci sarà a 3718 metri se già a 2200 è difficile da sopportare.
Ho solo 6 ore di luce e la cima è a 10.7 km, non ho nemmeno il permesso per salire, tutto sembra abbastanza difficile, tirato e pericoloso.
Perfetto.



C'è un'altra pausa.
La Vita mi dà il suo benestare, scaccio i brividi di paura dallo stomaco e m'incammino di buon passo. Quando mi capiterà ancora di salire al Teide in una giornata così ?
In realtà le nubi cominciano a salire ma ho deciso, non si torna indietro. Lo scenario è fantastico. Anche se ho le mani gelate non posso non scattare foto di queste viste. Infilo le mani in tasca e dentro lo zaino e questo lato della montagna è nettamente più protetto dal vento. Un bel regalo.
Nella prima parte il sentiero è largo e facile, fatto apposta per le auto, probabilmente per turisti di escursioni organizzate. Alla fine infatti trovo una comitiva di turisti, tutti equippaggiati come se dovessero salire sull'Everest, che si prepara ad affrontare la seconda parte che si snoda molto più ripida tra le rocce.
Li passo ad uno ad uno come birilli, forse eccessivamente entusiasta.
Dopo mezz'ora comincio gia' a sentire la fame e la stanchezza, devo fermarmi per mangiare qualcosa in fretta, trovo nello zaino le banane secche che mi ha regalato Jonay. Un altro regalo.



Finalmente arrivo al rifugio. Mi aspettavo un posto caldo ed accogliente come si usa in Italia, invece è chiuso fino alle 17.30 e c'è solo una stanza dove è proibito mangiare. Cerco allora un posto riparato ma è impossibile essere totalmente riparati dal vento. Cerco di mangiare con una mano alla volta e di riscaldare l'altra nel frattempo, ma non è semplice, nè comodo, nè piacevole.

Riparto infreddolito e con il cibo un po' sullo stomaco e con l'altitudine che comincia a farsi sentire. Ho un leggero senso di nausea, sono costretto a rallentare il passo, il sentiero si perde un po' sulle rocce scure, ha un che di infernale.
Comincio a sentire anche la fatica, le gambe non rispondono più come prima, è la parte più spiacevole. Ma alla fine ecco alcune indicazioni e la teleferica, la cima fumante del Teide si staglia proprio davanti a me, mi manca l'ultimo sforzo.
Apro la porta del sentiero proibito e un tizio mi bussa dalla finestra. Mi giro verso di lui e forse mi scambia per qualcun altro o capisce che tanto passerò lo stesso, perchè alla fine mi fa andare.
Inizio l'ultima parte del sentiero con grande sforzo a causa dell'altitudine, posso muovermi con grande lentezza e fare frequenti pause per rallentare il battito del cuore.
Mi sento Frodo sul monte Fato con l'unico fardello del mio desiderio di arrivare in cima.
La vista è incredibile, il cielo è sotto di me, le nuvole, vedo come da un aeroplano. Vedo le esalazioni vulcaniche e la puzza di zolfo diventa potente ma stringo i denti e affronto l'ultimo sforzo.
La cima è spazzata da un vento degno di queste altezze ed è il posto più alto dove sia mai stato. Sono solo nel raggio di chilometri e ho il sole proprio in fronte che sta scendendo dietro la montagna. Ora non ho più abbastanza luce per tornare indietro ma non posso che dire grazie di tutto ciò.



Comincio la discesa con la stessa attenzione, anche se il cuore non è sotto sforzo come prima.
Vado alla teleferica per strappare un passaggio giù, ma è tutto chiuso, guardo l'ora, e prendo un colpo, mi rimane giusto un'ora di luce, quando ce ne ho messe 5 per salire e tornare fino a qua. Nel raggio di chilometri non c'e' nessuno e buio e freddo si avvicinano velocemente, posso solo tornare in fretta dalla strada da cui sono venuto.
M'incammino di buon passo ma non può essere abbastanza, dopo un po' mi sento meglio e comincio a correre sopra le rocce come un capriolo, sempre con maggiore agilità, concentratissimo.
Se mi faccio male qua ci lascio le penne.

In men che non si dica arrivo al rifugio, dove i turisti sono perlopiù nascosti nelle stanze, non affrontano il freddo nemmeno per godersi questo strepitoso tramonto. I pochi coraggiosi che sono all'aperto mi vedono sfrecciare come un indemoniato, piazzare certo i piedi sulla discesa ripida.
Le rocce non fanno scherzi e la ghiaia è abbastanza clemente, anche fermandomi di tanto in tanto a fare qualche foto riesco a finire giusto per il crepuscolo la parte ripida e ad incamminarmi con il buio su quella più piana.



La luna sorge nitida e brillante, mi regala abbastanza luce per indovinare la via sulle rocce chiare.
Qualche volta ho l'impressione di perdermi, milioni di stelle fanno capolino dall'altro lato del cielo. Il vento soffia ancora più forte di prima, indosso tutto quello che ho e aspetto paziente la fine del sentiero. Nell'oscurità l'ombra della luna mi gioca qualche scherzo, le uniche luci stanno sopra di me, e mi chiedo se potrei resistere tutta la notte a questa temperatura, magari trovare una caverna.

Finalmente giungo alla sbarra del sentiero. Nel parcheggio ci sono le macchine dei turisti su al rifugio e poco più in là, in basso tra le rocce, il pandolo.
Ipotizzo che il sole di oggi abbia tenuto l'auto abbastanza al caldo ma mi sbaglio.
La batteria tossice appena e cede senza nemmeno combattere.
Provo a spingere l'auto sulla strada ma ho 30 cm di rocce da superare, e il precipizio dall'altro lato. E' dura.
So che qualcuno verrà a salvarmi, succede sempre così.

Infatti poco lontano i fari di un'auto bucano l'oscurità, mi piazzo in mezzo alla strada in modo da essere sicuro che mi veda. Che fortuna! Il tizio parla anche inglese e posso spiegargli in 2 secondi la situazione ma, e non ci posso ancora credere, mi dice che e' in ritardo per qualche appuntamento e che non può fermarsi.
Non c'è nessun altro nel raggio di chilometri ma cosa vuoi che ti dica, se devi andare, vai.
Rimango incredulo a guardare l'auto. Me la devo cavare da solo.
Provo a fare il pendolo, ma le rocce sono davvero troppo alte, e fa un freddo cane anche se non e' una palude.
Mi chiudo in auto e aspetto domattina ?

Altri fari bucano il telo della notte. Mi getto in strada, e questa è la volta buona. Anche in due non riusciamo a piazzare l'auto in strada, ma almeno non sono più solo. Arriva una terza macchina ed è festa. Il pandolo torna in strada e giù per discesa inizia ruvidamente a dare segni di vita.
Ringrazio, ancora, e mi incammino per la via di casa. Per almeno mezz'ora non incontro più nessuno.

La mattina seguente, al lavoro con le gambe spaccate, mi chiama un collega "Nicola, c'è fuori un ragazzo che ti cerca". E davanti al cancello, Jonay con il suo zaino che mi aspetta.
Ma questa, come si dice, è un'altra storia.



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