La prima cosa che mi è venuta in mente è che non sono preparato. Non sono preparato alla morte, non so come reagire.
Istintivamente credo che dovrei piangere, esprimere dolore e sofferenza.
Ecco, penso sia questo che ci si aspetta da me.
Mi è venuta in mente l'ultima immagine che ho di mio padre, del 4 gennaio, un mosaico di occhi, pelle, tubi, macchinari, pezzi di plastica, solo lo sguardo a rinnovare bagliori dell'antico fuoco.
Lì sì, lì mi ricordo dolore, sofferenza, paura, impotenza, desiderio di fare qualcosa, voglia di scappare via, pensieri in fuga, ricordi, le aspettative di un bambino mai realizzate, perché hai fatto quello che hai fatto...
E adesso ? Adesso ho capito che nemmeno tu eri preparato, l'ho capito in quella camera di ospedale mentre ti vedevo annaspare cercando di afferrare la vita per la coda.
No, non siamo preparati. Le cose più importanti della vita a scuola non le insegnano: come risolvere i conflitti, come essere buoni genitori, come essere felici, come affrontare la sofferenza. Ognuno fa il meglio che può con quello che ha imparato. Anche tu.
Questa consapevolezza dovrebbe renderci tutti più inclini al perdono. Dovrebbe.
Così questo passaggio lo voglio vedere così: come una liberazione!
Ti immagino pieno di entusiasmo giocare a carte con San Pietro, già ti vedo ridere mentre lasci San Pietro a bocca asciutta.
Ti immagino bello e pimpante tornare dal bosco con la cesta piena di porcini da un kilo.
Ti immagino sorridere e capace di esprimere tutta la tua vitalità.
Buon viaggio Papà.
Ci vediamo dall'altra parte, ma non aspettarmi per cena.
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